16 gennaio 2007

L'ORO DI SASSARI

RICORDIAMO LA GRABIGLIA D'ORU !!
E meno male che è d’oro, si nò s’era arruginidda.
Stiamo parlando della grabiglia d’oru: mitica gara tra circoli dove vinceva chi, con sopraffina maestria, arrostiva meglio i pezzi di zimino.
Un campionato del mondo di alta gastronomia.
Di questo campionato si è perso il ricordo della classifica ed i nomi dei giocatori.
Se dei campionati del mondo di calcio tutti ricordano l’Italia-Germania 4/3 con giocatori Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera ecc. ecc. chi ricorda chi giunse secondo nel 1998 dopo il Raggio d'oro ???
È arrivato il momento di scovare le classifiche di tutte le edizioni della Grabiglia d’oru (con le squadre, i giocatori, allenatori, massaggiatori di cannagguru e similari) da dare il tutto in custodia al nostro archivio.
Serve l’aiuto dei pochi tesserati ( nasu ) che hanno vissuto quei mitici momenti.
Vogliamo ricordare il passato per prepararci ad un futuro prossimo.
La grabiglia non si è arrugginita perché il metallo è pregiato.
È solo orfana.

Prepariamoci al ritorno dello zimino sulle grabiglie dei sassaresi

8 commenti:

MarcoCar ha detto...

fonte Nuova Sardegna:
10/08/04
Pronto l’esercito delle graticole
«I sassaresi amano questa festa ancor più della Cavalcata» L’anno scorso pancetta gratis per 25mila



SASSARI. Dopo la Faradda dei Candelieri è la festa più amata dai sassaresi veraci. La grande arrostita, infatti, viene prima ancora della Cavalcata. E i numeri lo testimoniano. Negli ultimi anni una crescita esponenziale, venticinquemila persone nel 2003. Sarà che quando c’è da mettere in moto le mascelle i sassaresi non si tirano mai indietro. Specialmente quando le specialità culinarie appartengono alla tradizione. Non c’è più lo zimino, è vero, ma le graticole pullulano di pancetta, salsiccione, melanzane, tutto innaffiato con vino rosso. E, particolare da non trascurare: tutto rigorosamente gratis. L’appuntamento anche per questa edizione è per domani alle 20,30 in via XXV aprile. Un esercito di graticole verrà apparecchiato dalla mattina e dodici circoli terranno viva questa straordinaria catena di montaggio dell’arrostita. Sono il circolo Alba Ruota, il Raggio D’Oro, il Bocciofilo Sassarese, il Bocciofilo Concordia, il Gremio di San Cristoforo, il Circolo degli anziani del Latte Dolce, Culleziu, Grazia Deledda, l’Acli Latte Dolce, La Lucciola, il Centro Storico e la Corte Larga. Ciascuno schiera dieci componenti, più un responsabile. E lo staff è preciso e ben rodato. Chi si occupa del taglio della carne, chi della brace, chi di girare le pietanze sul fuoco, chi serve il vino. Un vero tour de force che comincia nel primo pomeriggio con i preparativi, che diventa frenetico attorno alle 21 quando via XXV aprile diventa una fiumana di bocche da sfamare, e che si conclude attorno alla mezzanotte. La grande macchina organizzativa comincia a muovere gli ingranaggi già da metà giugno. Un evento del genere non consente improvvisazioni. Ci si trova di fronte ad una fetta consistente di sassareseria, che ormai è affezionatissima a questo evento perché rappresenta una delle poche occasioni di ritrovo vero. Festa davvero popolare, fatta di carne, vino, rumore, risate e musica. Su un palco si avvicenderanno alcuni dei complessi storici della canzone sassarese. «Ci sarà da mangiare per tutti - dice Antonio Demurtas, uno degli organizzatori - non il tanto da abbuffarsi, ma un assaggio di pancetta e melanzana e un bicchiere di vino è assicurato». Lo sforzo economico è notevolissimo. «Per questo dobbiamo ringraziare il gruppo Isa - prosegue Demurtas - che ha capito lo spirito e il senso di questa grande festa e che ci fornisce da quattro anni a questa parte un contributo fondamentale. Ci dà quintali e quintali di carne, carbone e vino. E dobbiamo ringraziare anche il Comune che mette a disposizione gli spazi, la luce e la logistica». Fino al 2000 la manifestazione si chiamava sagra dello Zimino. Poi il piatto tipico della città è scomparso dalle macellerie e la festa ha cambiato nome. «Ora lo zimino sarebbe irriproponibile. Troppa gente davanti alle graticole e la resa sul fuoco è bassissima rispetto al salsiccione e alla pancetta». Ma la scomparsa dello zimino non ha avuto ripercussioni sul successo dell’evento, anzi. Se la sagra dello Zimino nel 2000 ha attirato in piazza Mazzotti 6000 persone, l’anno successivo in via XXV aprile per l’Arrostita dei Candelieri si sono riversati in 15 mila. Poi è stato un crescendo. 18 mila nel 2002 e 25 mila l’anno scorso. Ora l’organizzazione può permettersi di pensare davvero in grande. E infatti vorrebbe ricollegare la festa al suo precedente storico che risale addirittura alla metà dell’800: la Merenda dei Candelieri. Ma via XXV aprile non basterebbe più. Per 40mila persone ci vorrebbero nuovi spazi. (l.s.)

MarcoCar ha detto...

Fonte Nuova Sardegna:
12/08/2000

LUNEDI' I CANDELIERI Zimino, antipasto della Faradda In azione nel centro i banditori per i premi della nostalgia
Stasera alle 21,30 in piazza Mazzotti la grande arrostita Un assaggio per tutti



SASSARI. In questi giorni nel centro storico è familiare il suono di piffero e tamburo che accompagna la lettura del bando riguardante i premi della nostalgia. E' il segno che i Candelieri entrano nel vivo. Lo testimoniano anche il rinnovarsi della ziminata in piazza Mazzotti, che si svolgerà dopo la conclusione della prima fase del Palio «Città di Sassari». I fratelli Giuseppe e Angelino Russo, con la giovane Monica Russo (figlia di Angelino) sono partiti ieri a metà mattina da Piazza Sant'Antonio per le loro tappe nel cuore della città. Il suono del caratteristico piffero di Giuseppe Russo e del tamburo di Angelino e Monica Russo cadenza la lettura della pergamena che ricorda il concorso per l'attribuzione di un candeliere d'oro e di uno d'argento per il sassarese trasferitosi all'estero o nella penisola da lungo tempo e di uno speciale candeliere per una personalità sassarese o, comunque, sarda, che abbia dato lustro alla città e all'isola. Il bando in sassarese ribadisce l'appuntamento della consegna dei premi previsto domani sera a Palazzo Ducale, e invita a concorrere tutti gli interessati. I tre banditori ricorderanno la possibilità di partecipare alla «gara» per il Candeliere d'oro e d'argento richiamando l'attenzione sulle regole del tradizionale concorso in luoghi come il corso Vittorio Emanuele, il mercato civico, e piazza Tola. La ziminata di piazza Mazzotti, ben lontana dall'anzianità del bando, sta conquistando anch'essa il diritto a essere definita «tradizionale». La saporitissima arrostita di interiora di vitello tanto cara ai sassaresi si svolgerà questa sera dalle 21,30 in piazza Mazzotti, insieme al contorno della musica curata dall'associazione Folk Sardegna. La ziminata, patrocinata dal Comune, vede come organizzatori e in un certo senso come «concorrenti» undici circoli cittadini: Circolo Sassari, Raggio d'oro, Grazia Deledda, Boccia d'oro, Concordia, San Cristoforo, Corte larga, Centro storico, Lucciola, Alba ruota e Culleziu. Per l'edizione 2000 della grande arrostita l'amministrazione civica ha predisposto, in accordo con i circoli e sotto la direzione gastronomica di Pietro Lai, alcuni interventi che renderanno più agevole l'accesso di turisti e visitatori a uno dei piatti più famosi della cucina tipica sassarese. In una parola, si vuole evitare che a gustare lo zimino siano i soliti pochi. Stasera le griglie saranno due, accanto alla colonna centrale, da raggiungere ciascuna attraverso un percorso tipo mensa aziendale, per permettere a tutti un assaggio. In più, ogni consumatore verrà fornito di un biglietto gratuito distribuito dagli scout. Il biglietto dovrà essere consegnato ai banchi dei circoli. Questi ultimi, in un certo senso, saranno dunque in competizione fra loro perché chi avrà staccato più biglietti (e accorciato inquesto modo al massimo il tempo della fila) riceverà un premio speciale dal Comune, che ringrazia chi ha contribuito alla manifestazione: Gian Paolo Calvia, Antonio Cesaraccio e Ennio Ballarini per il pane, il mercato all'ingrosso per le verdure, Rinaldo Carta per piatti, bicchieri e posate, la San Martino per l'acqua e le cantine Santa Maria la Palma, Monti e Antonio Cattari per il vino. Marco Deligia

MarcoCar ha detto...

Fonte Nuova Sardegna:
16/09/99


A proposito di zimino, «grabiglia d'oro» e gastronomia sassarese



SASSARI. Che cosa c'è di meglio, con questo tempaccio umido, freddo e piovoso, che pensare ad un bello zimino sfrigolante sulla brace? Tra di noi non c'è neanche bisogno di dirlo. Agli altri (molti sardi compresi, soprattutto quelli extraplanetari che sono i giovani) bisogna spiegarglielo, che cos'è: che non è cosa di mare e neppure cosa di tutti i giorni. Un tempo si faceva uno straordinario concorso che si chiamava «la grabiglia d'oro» una specie di campionato mondiale dei «pezzi». E finito l'oro o si è finita la grabiglia? Una volta venne a Sassari un grosso giornalista che stava allora al «Messaggero», Pietro Del Re. Doveva fare un servizio sulla gastronomia sassarese, gli parlarono dello zimino, l'assaggiò, ci fece sopra una pagina intera. Altra cubba che certi gastronoms che s'incontrano sulle pagine delle riviste e che, quando si tratta di parlare di Sassari, magari se la cavano dicendo: andate ad Alghero, oppure: andate a Sennori. E mangiate lo zimino (quello di pesce) ad Alghero, oppure la «zuppa cuàta» a Sennori. La «zuppa cuàta» a Sennori, l'avete capito patrioti di Gallura? E non rispondete che è sempre meglio della presunta consorella trevigiana la «sopa coàta», che un gastrologo di gran nome (Massimo Alberini, faccio il nome), s'è azzardato a dire importata da un maresciallo dei carabinieri gallurese sin dentro il beato Nord-Est. Se ci vai, non la chiedere: da loro la «sopa coàta» è un brodello giallino in cui galleggiano pezzetti di pane, pallidi frammenti di petto di gallina e piselli. In Gallura la suppa si chiama anche «suppa di còju», cioè di matrimonio, perchè era piatto nobile e delicato che si mangiava solo nelle occasioni importanti. Se fosse stata come la «sopa» trevigiana non si sarebbe sposato nessuno. Ma torniamo allo zimino. Al forestiero è perfino difficile fargli capire di che cosa si tratta. A dire «cannagulu» non si chiariscono le idee. La notte d'un tempo, sulla spiaggia di Balai, Filippo Canu aveva un'ospite inglese. Le disse che si chiamava «chèincol» (pronuncia com'è scritto) per tentare di renderle l'idea, poi aggiunse in italiano «il coso-coso» essendo la parola composta di due termini (allora) irriferibili. Ho qui sott'occhio una sorta di pergamena che m'ha passato Guido Garrucciu, memoria d'un epica ziminata di tanto tempo fa, 14 luglio 1951. Il menù indica: «Chiacchierata. Aperitivo. Antipasto... economico. Arrusthu di ziminu» così specificato: «Fìgaddu, parasangu, mera di gori, cannaguru, firaddizzi». E in più «visdhura: cugummaru, ziodda, pumatti, rughitta». A seguire, «casgiu, vinu, birra» e relativa «cottura». Se leggo bene le firme, c'erano i fratelli Delogu, grandi promoter dello zimino sassarese, il professor Padula, il professor Bertino, i professori Costa e Carta, i dottori Cottoni e Caddia, il professor Farris, Antonio Lecis, Antonio e Luigi Merella, Luigino Rubattu, Menin Andry. La leggenda metropolitana racconta che durante il pasto il professor Padula fu chiamato d'urgenza in ospedale. Andò, operò il paziente e si ripresentò con un pezzo di zimino che, disse, veniva dritto dalla sala operatoria. In realtà era uno scherzo, il firaddizzo l'aveva raccolto in cucina prima di tornare a tavola. Però Paolo Galleri ci aveva già fatto sopra la sua caricatura e un «Giuannantoni» cantava in versi sulla «Nuova»: «Lu Prufisso», Padula, Primariu ill'Jppidali/a tutti li maladdi ni cazza dugna mali; n'ha fattu di ziminu... cun cordha di cristhiani».

Anonimo ha detto...

PROFUMI, VOCI E RUMORI DELLA VECCHIA SASSARI

Quando la città di Sassari era ancora raccolta dentro la cerchia delle mura, e solo timidamente si affacciava appena oltre, con la sua bella piazza d’Italia, via Roma e l’emiciclo Garibaldi, conosceva di certo tempi migliori nella cultura, nella politica, nell’economia imprenditoriale; e i suoi abitanti vivevano, se non proprio agiatamente, avendo a disposizione quanto bastava per non essere assillati dai problemi che oggi, quotidianamente, si presentano. Da quel periodo in poi la città continuò a crescere e ad estendersi in tutte le direzioni: sorgevano i quartieri intorno a via Giorgio Asproni, al viale Dante, al viale Italia, quelli di Rizzeddu e di Porcellana e, dalla parte opposta, quello sul colle dei Cappuccini, per arrivare più tardi al popoloso rione di Monte Rosello. Da ragazzo ho conosciuto così la città. Provo a descriverla come la ricordo. I rumori delle autovetture erano rari, i mezzi motorizzati infatti erano pochissimi. Tanti invece erano i carretti a mano, le carrozze, i birocci e le famose tumbarelle da carico trainate da maestosi stalloni solitamente bianchi. Questi mezzi di trasporto avevano delle ruote che non erano gommate bensì dotate di un cerchio d’acciaio che rotolando sui lastricati e gli acciottolati provocava inconfondibili rumori, che si univano allo scalpiccio dei cavalli che con i loro zoccoli anch’essi ferrati completavano una “musica” non proprio melodiosa. A questa era da aggiungere lo schioccare della frusta dei carrettieri; e di sera si vedevano bene le scintille provocate dagli zoccoli dei cavalli che arrancavano sugli scoscesi basolati di granito. I rumori però non erano solo questi. Si facevano sentire anche i tanti frairaggi, i fabbri ferrai che forgiavano il ferro; una categoria molto rumorosa che però rendeva un grande servizio alla comunità sassarese con i suoi lavori di pregevole fattura quali mezze lune di portoni, inferriate di ogni genere, cancelli e cancellate che ancora oggi fanno bella mostra dove sono state conservate, senza parlare dei balconi quali ancora oggi si possono ammirare in via Rosello. Le attività produttive, soprattutto quelle artigianali ora scomparse, vivacizzavano una città non di certo sonnolenta. C’erano gli stagnini, i sellai ed i bottai con i relativi buccuritadori (boccolatori), che costruivano delle guarnizioni in acciaio per le aperture di li mizzini (botticelle da 25 litri), ben note in città perché, prima che entrasse in funzione l’acquedotto, erano state usate per secoli da li carradori, gli acquaioli che con i loro asinelli trasportavano e distribuivano l’acqua in città, attingendola alla fontana del Rosello o a quella delle Conce. Proseguendo a ricordare i rumori della Sassari di un tempo, aggiungiamo quelli che provenivano dai luoghi dove si praticava l’industria, perché Sassari, anche se oggi non sembra vero, aveva molte attività a livello industriale: prime fra tutte le concerie, dalle quali hanno preso il nome la via ed il rione delle Conce; quindi la manifattura dei tabacchi, che si trovava in via Torretonda, dove adesso c’è il Monopolio di Stato; tanti mulini per macinare cereali di ogni tipo con relativa produzione di mangimi vari; moltissimi frantoi per la macina delle olive e la produzione dell’olio; vari pastifici e una fabbrica di candele ed un saponificio. Lasciamo ora i rumori e parliamo dei profumi: un’altra caratteristica della città che regalava essenze in base alle stagioni o alle vie che si percorrevano. Ad esempio a settembre, quando si raccoglievano le mele miali e appiu. Chi ne possedeva degli alberi, prima che qualcuno le potesse rubare (e già, perché allora si rubava la frutta!), le coglieva e le portava in città, ponendole in canestri o, addirittura, poggiate e ben messe in fila sulla credenza o su altri mobili, anche sull’armadio della camera da letto, chiamato all’epoca armoà, alla francese. La fragranza naturale di queste ottime mele profumava la città. Ad ottobre invece, era un acre odore di mosto a invadere le vie dove abitavano i vignaioli che, dopo la vendemmia, spremevano le uve in campagna e poi portavano il mosto in città e lo versavano in grandi botti delle loro cantine dove lo lasciavano fermentare fino a quando diventava vino. A San Martino, infine, l’apertura delle botti e la mostra dell’edera fuori dei magazzini per far capire a chi passava che il vino era pronto. Pronto da bere ma anche e soprattutto da acquistare, perché così si usava fra i produttori: venderlo sia a bicchieri che a bottiglie e a damigiane. In tal modo si recuperavano presto le spese per il lavoro di un anno nella vigna; in più di un caso questo era il sostentamento principale di molte famiglie che, sommando il ricavato di altri prodotti della campagna, il più delle volte ortaggi e frutta, raggiungevano un buon reddito. Sassari era chiamata infatti zappadorina, urthurana e vignatera per indicare le attività svolte dalla maggior parte delle famiglie del popolo. D’inverno il profumo più avvertito era quello dell’arancia e del mandarino, particolarmente quando si gettava la scorza sul fuoco del braciere per affievolire l’odore emanato dal carbone nella prima fase dell’accensione. Altri profumi caratteristici e, per me, tento buoni, quelli del pane appena sfornato dai tanti panifici esistenti. Le pasticcerie non erano da meno: il profumo delle paste e degli altri dolci ti facevano trovare il laboratorio “a naso”!Adesso c’è qualcuno che si lamenta perché questo profumo disturba. Mah!
Il profumo tradizionalmente più caratteristico di Sassari era tuttavia quello dello zimino arrosto in graticola. Un tempo si vendeva solo di venerdì, perché era giornata di macellazione e quindi nelle macellerie, per prima cosa, si vendevano le frattaglie, mentre lo smercio della carne era rimandato al sabato e alla domenica mattina. Quando i lavoratori, la sera del venerdì, ritiravano il salario, era abitudine che comprassero lo zimino per cena. Era raro, infatti, nei rioni popolari, non vedere quella sera il braciere e la grabiglia fuori della porta, con le varie parti dello zimino che mentre arrostivano producevano quel profumo tanto caratteristico e stuzzicante che faceva venire l’acquolina in bocca ai passanti. Ricordiamo ora le voci della Sassari di un tempo: innanzitutto quelle dei bambini che giocavano spensierati per le strade, senza correre alcun pericolo, almeno per quanto riguardava le automobili, allora rarissime. Un vociare che nei mesi estivi durava dal mattino alla sera: voci gioiose di bimbi che si divertivano con niente: bastavano la cirimella, il gioco delle quattro cantonate, lunamonta, bacchetta a mamma. Altre voci caratteristiche, e rimaste nella memoria, quelle dei venditori ambulanti che già dal mattino presto giravano per la città vendendo le loro merci: il loro vociare era tradizionale e già da lontano si riconoscevano per la cadenza ed il timbro della voce. Erano tanti ed ognuno aveva un suo prodotto: i fichi d’India, il mizzuraddu, l’aglio, le lumache, l’olio, i fichi, gli asparagi, le bietole, i fiori, le scope (queste portate dai sennoresi e dai bosani), gli utensili di legno per la cucina ecc. Altri invece proponevano riparazioni in casa, ad esempio vi erano degli accunzadori che si occupavano dei parapioggia, dei vasi di terracotta, dei recipienti e delle statue in gesso; alcuni erano capaci di costruire in quattro e quattr’otto un aggeggio (lu barracuru) che serviva per stendere i panni sul braciere. Altri proponevano riparazioni idrauliche e saldature di recipienti di metallo. Le voci degli ambulanti, quindi, erano puntuali ma anche opportune perché proponevano servizi casa per casa, agevolando il cliente e facendo risparmiare anche sul prezzo. Le voci, poi, dei venditori del Mercato civico, soprattutto quelli del pesce, completavano questa grande vivacità di una città e del suo chiassoso mondo commerciale. Il vociare incrociato dei pescivendoli sfiorava spesso la rissa, e qualche volta non era finta. Il cliente veniva preso a voci e sgridato quando si avvicinava al bancone di un concorrente, del quale si disprezzava il prodotto definendolo puzzinosu. Alle voci si accompagnava qualche volta il lancio di un pesce, tanto per scherzare e suscitare l’ilarità nei clienti presenti che amavano questo modo di fare anche perché a volte provocava la diminuzione del prezzo di quella merce volante. Facciamo sfumare le voci, i rumori, i profumi di una Sassari che pare scomparsa e lasciamo spazio al suono delle campane delle chiese e delle parrocchie che allora riusciva a riunire i sassaresi in un abbraccio di fede e di ringraziamento per la giornata trascorsa all’insegna di un ritmo di vita più umano, in una Sassari che non potrà mai essere dimenticata.

Tino Grindi

Anonimo ha detto...

Scusate, ma negli ultimi anni l'arrostita è diventata progressivamente una vera porcheria, che non ha niente a che vedere nè con la vecchia e gloriosa Grabiglia d'oro, nè con le vecchie arrostite dei Candelieri (che si facevano in piazza Mazzotti), nè tanto meno con la Faradda.
E' un parere personale, ovviamente, ma forse qualche arrostita seria l'ho vista.

Anonimo ha detto...

Ps: ho dimenticato di dire che mi riferisco all'arrostita del 10 agosto in via XX Settembre. E' quella che secondo me è un porcheria.

Anonimo ha detto...

Siamo troppo d'accordo.
Infatti si diceva si ricordare quelle "serie" fatte dai circoli per "la grabiglia d'oru".
A base di ZIMINO non di melanzane e salsiccione .....

Anonimo ha detto...

cazzu, ma abà chi no lu vorini più i "la nuova" zi tocca di carrazziru noi a Tino Grindi? Vi vò una ghedda di feria pà liggillu tuttu!!
O staff, feddi caschi gosa!! Pà piazzeri parò.